Come una cioccolata calda., Questa è la mia storia. Anzi,è una storia che gli assomiglia molto, tranne per una piccolissima differenza:questa, ha il lieto fine.

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elizabeth.
view post Posted on 9/9/2011, 23:24




Passeggiavamo lungo la strada principale della città. Al mio fianco,lui. Non mi abbracciava, non mi teneva la mano, passeggiavamo e basta. Non come amici, perché definire il nostro rapporto come amicizia era esagerato, ma neanche come due sconosciuti. Eravamo conoscenti. Sì, credo che fosse la parola esatta per descrivere il nostro rapporto. Gli parlavo un po’ di me a volte, ma non gli dicevo quello che avrei potuto dire ad un amico.
Guardavamo distrattamente le vetrine dei negozi che ci scorrevano accanto, in silenzio.
“Allora ehm..” mormorò imbarazzato “Cosa vuoi farti tatuare?” Il tuo volto, il tuo nome, la tua data di nascita, lo stesso tribale che hai sul braccio sinistro, la stessa rosa che hai sulla spalla destra.
“Una data” risposi io, sorridendo.
“Una data” ripeté lui, meditabondo. “Perché una data? Insomma, con tutto quello che potevi scegliere.. Proprio una data??”
“Esattamente!” Lui mi guardò, socchiudendo leggermente gli occhi.
“E dove vorresti fartela tatuare questa data?” disse. Gli brillavano gli occhi. Bene, era un buon segno. Lo divertivo.
“Qui” dissi indicandomi l’interno del polso destro.
“Lì” ripete lui, sempre con gli occhi che gli ridevano. Era strano vederlo allegro con me. Non me l’ero aspettato. Insomma, io mi dichiaro, lui dice che ha apprezzato molto ma che non ricambia il mio sentimento. Insomma, la solita frase “Restiamo amici”. Una promessa impressa a lettere di fuoco sul cuore, che raramente i maschi mantengono. Ma lui, era stato diverso. Me l’aveva detto che non era “I maschi”. Aveva mantenuto la sua promessa. Era venuto al mio compleanno senza che ci fossimo mai parlati “dal vivo”. Mi aveva fatto piacere. “E.. E’ una data speciale?”
“Una data speciale”, ripetei io divertita. “Mhh. Forse”
“Forse” ripeté nuovamente lui, reprimendo una risata.
“E.. Che data è?”
Io ridussi gli occhi a fessure, mi facevano piacere tutte quelle attenzioni, ma non riuscivo a capire se dietro tutte quelle domande ci fosse qualcos’altro.
“Che importanza potrebbero avere per te otto stupidi numeri?”
“Di sicuro non la stessa che quegli otto numeri hanno per te” mi sorrise “Ma, sai. Si dice che ogni tatuaggio ha una storia da raccontare. E, evidentemente, quella storia è molto importante per te.”
“Ogni storia è importante” risposi io. “Ogni oggetto, racconta una storia, solo che non tutti sanno ascoltarla. Ma.. Un tatuaggio è diverso.. Un tatuaggioè una storia.”
“Un tatuaggio è una storia. Mhh. E il tuo, che storia ha?”
Lo squadrai, non potevo raccontargliela, non potevo raccont.. “E’ come una cioccolata calda. Ti riscalda il cuore. E’ dolce e un po’ amara”
“E cos’ha questa cioccolata calda di diverso? In cosa è differente dalle altre cioccolate calde?”
“E’ mia.” Risposi alzando leggermente le spalle “L’ho assaggiata solo io. Ho visto bollire l’acqua, aggiungere il cacao.. Ma al posto dello zucchero hanno messo il sale. Faceva schifo.. Eppure mi era sembrata così buona mentre la preparavo, già pregustavo il calore che mi avrebbe riscaldato in mezzo a tutto quel ghiaccio..”
“Falla assaggiare anche a me” Sebbene avesse un tono divertito, sapevo che non era una proposta, era un ordine.
“Perché dovrei? Cos’hai tu di diverso dagli altri? Perché dovrei raccontare quella storia proprio a te?”
Alzò le spalle e mi fissò negli occhi. “Mi vuoi bene. Abbastanza da raccontarmi una storia come questa. Lo so, non puoi negarlo.” Dannazione! Ma perché finivo sempre per fare tutto quello che mi chiedeva? Mi sarei persino buttata sotto un treno per lui.. Lo amavo.. Pazzamente, follemente, inconsciamente. Sono convinta che, sebbene mi piacesse un sacco anche prima, adesso ero veramente innamorata. Perché non si può amare qualcuno che non si conosce.
“Dopo” dissi solamente.


Quando uscimmo dal negozio, l’aria si era raffreddata un po’. Erano solo le cinque, ma faceva già freddo. Lui mi osservava con la coda dell’occhio e le mani sprofondate nelle tasche della felpa. Era una cosa che mi aveva parecchio incuriosita, prima. Anche d’inverno, non portava mai il giacchetto, al massimo una felpa. Solo se era veramente freddo, allora indossava una giacca di pelle.
“Allora, è arrivato il dopo?” mi chiese inclinando il sopracciglio sinistro.
“Credo.. Credo di sì” non ero per niente convinta di quello che dicevo.
“Bene” disse lui “Allora, cos’è successo il..” si fermò per osservare il tatuaggio “Venticinque maggio duemiladieci ?” Sorrisi, pensando al modo in cui potevo proporgli la storia.
“Ho messo a bollire l’acqua.”
“Hai messo a bollire l’acqua..” Aveva la pessima abitudine di ripetere le cose che dicevo, alle quali pensava.
“Già.. Però, vedi.. Qualcun altro mi aveva rubato il ciottolino.. Quindi ho dovuto arrangiarmi.”
“Mhh.” Fu la sua unica risposta.
“Poi.. E’ arrivata l’estate, e faceva troppo caldo per continuare a far bollire l’acqua. Quindi ho-diciamo-spento il fuoco, anche se non del tutto. Qualche fiammella nascosta ha continuato a riscaldare l’acqua” Entrammo in un bar e, guarda caso, lui ordinò due cioccolate calde. Una volta seduti, continuai a parlare.
“Poi venne l’autunno e portò con sé i primi freddi. Cominciai a tremare dentro, avevo bisogno di qualcosa che mi riscaldasse. Così accesi di nuovo il fuoco, sotto il pentolino che nel frattempo mi era stato restituito. Di tanto in tanto aggiungevo un pochino di cacao.. Sempre pochissimo alla volta, per fare in modo che si amalgamasse bene con l’acqua. Sono andata avanti così fino ad un giorno di agosto. Sai, iniziava a fare caldo e continuavo a sentire freddo dentro. Avevo proprio bisogno di una cioccolata calda. Però vedi.. avevo finito lo zucchero” dissi, mentre iniziavo a sorseggiare la mia cioccolata.
“Avevi finito lo zucchero?” vedevo un sorriso ancora neonato all’angolo della sua bocca. E mi sentii bene, perché sapevo che quel baby sorriso era per me.
“Già.. Allora sono andata a chiederne un pochino ai vicini.. Solo che..”
“Solo che?”
“Mi hanno dato del sale, al posto dello zucchero”
“E dopo la cioccolata era da buttare vero?”
Annuii. “Già. Avevo solo sprecato il mio tempo, l’avevo fatta con cura, con dolcezza, con amore..”
“E dimmi.. Tenevi di più alla cioccolata oppure al ciottolino?”
Alzai gli occhi dalla tazza, avevo paura che avesse intuito la storia vera, quella celata dietro al pentolino, all’acqua e a tutto il resto. “Probabilmente al pentolino.. Sai, continuo a conservarlo con l’acqua dentro.. Però non oso accendere nuovamente il gas.”
“Hai paura di bruciarti.” Concluse lui.
“Forse sì. Però, se dovessi accenderlo nuovamente, so che non avrei bisogno dello zucchero, perché il cacao era diverso dagli altri, non era amaro. Era già zuccherato.”
“Adesso raccontami la storia vera, anche se ho già capito quasi tutto, mi manca ancora qualche tessera per completare il puzzle.”
“Ne sei veramente sicuro?” Lui annuì, e io mi adagiai allo schienale imbottito della sedia. “Sai.. Faceva abbastanza caldo il venticinque maggio del duemiladieci, eppure io non lo sentivo. E poi.. L’ho visto. In quel momento credo di essere stata sicura che fosse lui quello giusto. Però.. Era già di un’altra. Ci rimasi un po’ male lì per lì.. Poi credo che mi passò, perché quell’estate non ripensai più a lui. A settembre, all’inizio della scuola lo rividi. E lei non c’era più. Forse qualche Dio aveva ascoltato le mie preghiere, mi dissi. Il sentimento che avevo provato inizialmente però, non si era spento, si era solo assopito. Col passare del tempo, quel sentimento cominciò a crescere, diventò più grande di me, più forte di me. Non potevo più contrastarlo, ero completamente in sua balìa. Ad agosto, mi sono decisa ad esporlo. A fargli vedere un poco di luce. Ma la luce che ha visto, non era quella del sole, bensì quella di una speranza vana, che l’ha rinchiuso in un posto dove la luce non entra, è incatenato. Eppure, io sento che è ancora lì, aspetta solo che il carceriere si addormenti per rubargli le chiavi e uscire. In libertà vigilata però.”
“Ancora non hai detto chiaramente cos’è successo quel venticinque maggio, anche se l’ho capito. Forse.”
Presi un respiro profondo e lo guardai negli occhi. “Quel venticinque maggio, mi sono innamorata.” Io ero seria, ma lui scoppiò a ridere. “Perché ridi?” Mi aveva ferito.
“Scusami.. E’ solo che.. Non riesco a credere chi sia stato tanto stupido da consegnarti il sale al posto dello zucchero.. Doveva essere proprio un imbecille!” Ecco. Mi sono sbagliata. Di nuovo. Eppure ero così sicura che avesse capito.. E ora.. Si dava dello stupido e dell’imbecille da solo.
“Non avrei dovuto raccontartelo.. Dimentica tutto..”
Improvvisamente, si fece di nuovo serio. “Come posso dimenticare?” mi guardò con dolcezza “Qualcosa che è inciso a lettere cubitali sul mio cuore?” Ok, qualcosa non andava. Forse mi ero persa qualche passaggio. Fino a pochi secondi prima era lui che non aveva capito. Adesso invece, mi ritrovavo a fissarlo, probabilmente con un espressione da ebete in faccia. Mi stava forse dicendo che.. No, non era possibile. Mi accarezzò una guancia.
“Sai, se non ti avessi conosciuto, probabilmente ti avrei chiesto un po’ di zucchero, perché l’ho finito. Ma ho scoperto che il mio cacao è diverso da quello degli altri. E’ già zuccherato. Quindi.." Si grattò un orecchio, imbarazzato "Ti va di essere la mia cioccolata calda?”


 
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